venerdì 26 febbraio 2010


NZ. Si parte cari miei. Peccato saltare Wellington, la città musicalmente più esplosiva della nazione visto anche chi ha sfornato negli ultimi anni. Arriverò a Christchurch, Southern island. Preso il biglietto, non ho fatto altro che mettere un bell’annuncio su Gumtree per cercare travel mates disponibili a noleggiare una macchina, dividere le spese e le viste mozzafiato che si prospettano. Antoine mi ha risposto. Francese e sembra ok. Dico che sembra perché con i francesi sapete bene…è una lotteria…un po’ come quella dei rigori che non possono più rinfacciarci da quasi ormai tre anni. Da un bel po’ in Australia con working holiday visa a costruire barche. Divideremo spese e tutto fino al 5 quando lo lascerò a Dunedin dove si prenderà l’aereo per Auckland, prima di svaccarsi a Thaiti. Il tempo è poco e le sue pressioni sul saltare i due ghiacciai sono forti. Preferisce i fiordi a sud ovest, il signorino. We’ll see, gli ho detto io. Mal che vada avrò tempo di farmeli in solitaria o con qualche altra persona dal 5 al 9, giorno del ritorno. Perché andare in Nuova Zelanda, non vedere i ghiacciai e buttarsi sui fiordi mi sembra un po’ come andare in America, non mangiarsi un hamburger ed ordinare dei canederli.

----------

Qui capita spesso che mi mettano sul tavolo quello che io non ho chiesto, come cortesia, non sapendo che su certe cose devo essere io a scegliere quale drogato che sono.

A volte ti va bene ed è quella giusta. Ne basta poca e inizi a digrignare i denti, con le mascelle che pian piano si serrano. Frigge il naso, gratta leggermente la gola, la senti sui denti e poi bam...è una botta fredda che pero' scalda il cuore. E col cazzo che fa male, ragazzi. Sono ancora vivo e vegeto dopo anni e anni.
Altre volte ti va male e te ne accorgi subito. Va bene non serrare le mascelle e va bene che sui denti la senti..però è scarsa, debole. Scalda il cuore ma la botta fredda dura poco, dura meno. Credo sia una questione di composizione, di cosa ci mettono dentro e di cosa ci tolgono nonostante sia una sostanza naturale. Tutto questo era per spiegarvi la differenza sostanziale tra Coca Cola normale e Coca Cola Zero che a volte qualche ingenuo mi vuole offrire al bar. E ora veniamo a noi. A loro, ancora una volta.

Sono un popolo di sportivi, non c’è che dire. Individualisti sì. Ma sportivi. E proprio questo individualismo avvalora la tesi che siano proprio sportivi serissimi. Parlo di corsa, bicicletta, esercizi vari che sfruttino la bellezza dei parchi. Quelle cose che, insomma, prevedono una persona a lavorare sui propri limiti e a pensare alla fatica sul suo singolo corpo. No gioco di squadra. Uomo vs fatica. E allora lì esce la serietà. Perché a Milano la sbarbatella che deve buttare fuori l’alcol del giorno prima va a correre con l’amica e se l’amica non viene zero. Sai che fatica da sola. E questo non ha senso, un po’ come l’andare in bagno in coppia tenendosi la mano che ha accompagnato la nostra vita liceale. E se piove a Milano non ci vai. E se sei stanco non ci vai e soprattutto la mattina presto non ci andrai mai. Qui li vedo fare jogging alle sei del mattino e alle 2 quando il sole ti squaglia le spalle. In coppia a volte sì..ma non perché si è pianificato. Spesso soli, I-pod a palla e via…lungo lo Yarra o a sud in direzione Albert Park. Insomma, ennesima metafora oz? Può essere. Se lo faccio è perché lo voglio e perché oggi voglio conoscermi un po’ di più spostando quello che fino a ieri sembrava essere il limite. Non perché c’è uno a farlo con me. Da noi c’è questo maleducatissimo rituale del far vedere che qualcosa si fa perché bisogna fare vedere, bisogna spiegare agli altri che “guarda che ci sono anche io e mi diverto e sono interessante come persona”. Aldilà della qualità ed aldilà del tipo di azione. Il contesto fisico in cui si racconta un’azione vince tremendamente sia sull’esperienza avuta che, ahimè, sul racconto della stessa. Come se si andasse a fare l’aperitivo non perché si ha fame, si vuole spendere poco, si vuole stare in una situazione gradevole fuori dalle proprie mura domestiche, ma perché il giorno successivo o la sera tarda si possa dire “io c’ero”. Senza alcuna considerazione per il “di che cosa si è parlato” e per il modo in cui si possa spiegare ciò che si è vissuto. E allora si raccontano i contesti in cui viviamo e non raccontiamo più noi.

Consigli per gli ascolti:

-Se siete toghe rosse The Dead 60s con “Riot Radio”

-4 Non Blondes “Spaceman”. Che non ascoltavo dal ’93, solo perche’ son scemo.

-The Cure “Just Like heaven” perche’ vale come un abbraccio lungo 3 minuti.
-Da ascoltare per strada, sentendovi attori fighissimi di un film che si svolge per le strade della vostra citta', Sola Rosa con il remix di "Collie Herb Man" dei Katchafire.
-Per avere ancora piu' freddo (voi) direi Subsonica con 'Coriandoli a Natale'.
-Se tipo vi troverete sulle strade verdi della Nuova Zelanda a guidare in mezzo ad un bel vento profumato di sole The Black Seeds con "So true".

lunedì 22 febbraio 2010

Get scared of the orange



Il problema è che i tram passano con una frequenza sorprendente. Dico ‘problema’ perché in questa maniera la probabilità di arrivare di corsa sudati ad una fermata e beccare al volo il tram di passaggio è altissima così come altissima è la probabilità di perdere il tram per una questione di secondi. E se ve lo scrivo vuol dire che finora questo gioco di probabilità non mi ha sorriso.

Veniamo a noi, cioè a loro. I mezzi pubblici, i taxi e i semafori sono un fenomeno interessante da analizzare.

I mezzi pubblici: biglietto giornaliero dal costo irrisorio la domenica (non sotto Natale a prezzo pieno) e biglietto da corsa singola (2 orette) che si fa direttamente sul mezzo. E la gente lo fa. Non è che bla bla, controllore suca, etc..no no. Lo fa. Inoltre è come se ci fosse implicitamente la regola del “E’ vietato non parlare al conducente”. Qui si chiacchiera, ragazzi. E poi si dice anche ‘grazie’ quando si scende dal mezzo. Meraviglia. Si chiacchiera anche tra passeggeri in un modo spontaneo, genuino. Oggi un ragazzo con le sue belle auricolari ficcate nelle orecchie ha iniziato a cantare forte. Ma forte eh, e pure discretamente per la verità. Poi si è avviato verso la porta perché la fermata successiva sarebbe stata la sua. Solo per quel motivo ha dovuto interrompere la sua performance personalissima. A quel punto la signora sulla mezza età al mio fianco ha fatto partire un applausone (perché non farlo in effetti?). Il ragazzo si è levato l’auricolare destra, ha fatto un inchino ed ha scambiato due paroline sulla canzone con la signora prima di scendere dal tram nella bella e verde fermata di Albert Park.

Taxi: fotografano il momento. Salendo su di un cab, con grande probabilità, ci si troverà di fronte a indiani o Pakistani. Tantissimi. Issimi. Di poche parole solitamente, almeno all’inizio. Hanno bisogno di un input per sciogliersi e chiacchierare. Ma un po’ li capisco. La sera gli può capitare chiunque. Capitano ubriaconi che hanno bisogno di un taxi per fare 400 metri con un portafoglio prosciugato come le pinte che si son fatti. Li vedrete scappare da gente stortissima che prova a prendere a calci la portiera che non vuole aprirsi. Li vedrete, nota stonata, abbassare il finestrino per chiedervi dove volete andare e, qualora il posto fosse troppo vicino per fargli portare a casa la pagnotta giornaliera, ritirare su il finestrino e schizzar via alla ricerca di qualche altro cliente. Ma poi ci sono gli oz veri, che attaccano bottone quando non hai ancora richiuso la portiera alla tua sinistra. Sono quelli che ti fanno sentire a casa anche se la casa e’ 16mila km più in là. Sono quelli che quando la corsa è terminata continuano a parlarti e chissenefrega se la pagnotta stasera non la si porta a casa come i pakistani. Perchè intanto si e’ chiacchierato. Ho già trovato di tutto.

Da John, tassista coltissimo che si sta laureando in psicologia e che mi ha tirato un piacevole pippone partendo dal mio segno zodiacale, a Ted che, appena sentito l’accento VAGAMENTE italiano, si è fermato per appoggiare sul cruscotto il suo mocassino perchè “Questa e’ pelle italiana. Mica come la merda che vendono di solito qui. Questa viene dal tuo paese. Siete i migliori, cazzo!”. Migliori noi diceva: affermazione discutibile. Fuori discussione invece i suoi mocassini che, a parte la pelle, facevan cagare sul serio.

I semafori: c’è del fascino. Perchè in un paese così rilassato il verde per i pedoni dura così poco? Cioè, va bene il rosso che dura tanto così uno chiacchiera sul marciapiede. Ma il verde? Dovrebbe durare quantomeno come il rosso. E invece no. Credo sia un loro allenamento alla vita ed alle regole che la vita impone. Il rosso è il rispetto di queste regole, come è giusto che sia. Con il rosso loro imparano ad aspettare e qui si può aspettare perchè ogni momento, anche una pausa, è una parentesi per scoprire qualcosa o qualcuno. Poi arriva il verde e ci si immerge nella vita. E lì non si perde tempo: lì si va al galoppo perchè la vita da queste parti la si cavalca. Si aspetta, si rispetta, si vive come se ogni momento fosse da prendere al volo, intensamente. E l’arancione non esiste. Non ha senso. Preferiscono un rosso che lampeggia. Come a dire”tra un pò avrai tempo di pensare ed aspettare. No worries perchè poi ti ributto nella vita. Stai pronto a godertela”.

Noi viviamo nell’arancione e la cosa ci sta pian piano distruggendo. Con l’arancione ci conviviamo in due modi: o con l’incazzatura di chi si deve inchiodare o con la triste aria da furbetto di chi passa comunque noncurante della regola. E poi arriva il rosso. Ed il tempo lo sprechiamo a pensare a perchè il verde non arrivi, chiedendoci se forse il verde ce l’abbia con noi. Poi scatta il verde. E con le energie sprecate e le imprecazioni del caso siamo troppo stanchi per andare al galoppo. E traaac: è di nuovo arancione.

giovedì 18 febbraio 2010

pole pride



E’ un pensiero ricorrente, una situazione che mi fa pensare tanto e, a volte, quel momento l’ho pure sognato. Immaginate di essere su di una mongolfiera ancora appoggiata al suolo. Il pallone gonfio è ancorato saldamente al terreno. E voi siete lì per farvi fare una foto nella bella cesta, come ricordo. Vi mettete in posa ed in quel momento i ganci che tengono ancorato il pallone cedono. Nel giro di un secondo siete ad un metro da terra. Ve ne rendete conto e siete già a due metri e mezzo dal suolo. Saltare? Vi preparate e siete a 5 metri. Salto o no adesso?10 metri. 12 e adesso siamo veramente in alt….16. 20. Ciao. E buttarsi adesso vuol dire farsi male. Tutto questo per dire che con i nomi dei miei coinquilini è lo stesso. A parte i due inglesi presenti va bene. Ma gli altri no. Non li so. E va bene i primi 15 minuti di conversazione. Poi forse ai francesi ed alla danzatrice potevo anche giocarmi la carta “Scusami, il tuo nome? Non me lo ricordo..sai io coi nomi..”. Ma ho aspettato e, soprattutto, fatto finta di nulla. Non 5 metri ma 2 giorni. Poi ci pensi e dici che chiederlo adesso è da scemi e allora succede che…3 giorni…4 giorni. Ciao. E chiederlo adesso vuol dire fare la figura del cretino. Aspetterò di sentire il loro nome pronunciato da un coinquilino. Così come avrei fluttuato sulla mongolfiera pazza in attesa di una seconda così gentile da affiancarsi alla mia per riportarmi giù. Arriviamo così a loro. I coinquilini. Non vi racconterò di tutti loro. Non credo. Ma oggi mi basta lei: la danzatrice. Tornato a casa verso le 22.30 mi sono stappato una birra (anzi, svitato) e mi son messo a fare due chiacchiere con la ballerina che dorme esattamente nella stanza davanti alla mia. Le ho chiesto come andasse col suo ginocchio. La sera prima, nel buio e nel cuore della notte, era entrata nella porta di vetro del corridoio che pensava fosse spalancata mandandola in frantumi, svegliandomi, facendomi cagare discretamente addosso, aprendosi la gambetta e sporcando di sangue bagno e soggiorno (sembrava il delitto di Cogne). Siamo partiti da li’, dal suo cerotto sul ginocchio destro ma…nella mia testa ‘sta cosa della pole dancer non se ne e’ mai andata. La pole dance e’ un’attivita’ importante, importantissima: maliziosi, voi, a pensare subito alla lap dance e a quelle robe li’ un po’ spinte. Maliziosi voi dicevamo. Maliziosi voi? No. Pirla io. Avevate ragione.

D: “Quindi oggi day off e domani vedo come va. Se mi fa male, sai. Domani dovrei lavorare ma magari faccio orario ridotto. Dipende come va. E poi dipende dal capo”.

L: “In ogni caso ti trovi bene li’?”

D: “Si’, ti ho detto. A parte il capo che e’ un brontolone di prima categoria. Pero’ pagano bene le lezioni, e’ vicino, ci viene gente simpatica”.

L:”Ah, come si chiama il posto? No perche’ magari una volta per curiosita’ passo li’ a scuola giusto per capire..cioe’.questa cosa della pole danz insegnata…”

D: “ ‘Streaptease’”

L: “Streaptease’?”

D: “Si’”.

L: “Ah, ok. No beh..carina..cioe’..tu mi hai hai detto pole dance..che insegni pole dance..”

D: “Si’”

L: “Quindi streaptease, dicevi. Quindi parliamo del palo, tu insegnante in un posto dove, immagino, facciano streptease e, credo io eh, lap dance e tutto il resto. E’ curiosa ‘sta cosa. Cioe’, il fatto che tu sia insegnante che forma le nuove leve della lap dance..”.

D: “Si’ io sono insegnante per loro. Ho le mie lezioni durante il giorno. Poi si’, mi esibisco a volte. Pero’ sai, solo quando ci sono dei turni scoperti. Ormai lo faccio poco. Ho 28 anni e le 20enni sono quelle giuste. Io giusto giusto se manca qualcuna” (E’ tipo un Favalli ndr).

Pero’ ho scoperto un sacco di cose: il palo professionale che vuole mettere in stanza costa 600 dollari; il palo in stanza permette di fare lezione in casa; le lezioni private a casa permettono alle casalinghe over 40 di fare un corso di lap dance che non potrebbero mai fare presso un locale, in maniera pubblica o in mezzo a donne under 25; il mercato di donne over 40 che sperperano i soldi del marito mentre lui e’ al lavoro facendo lezioni private di lap dance e’ enorme ed in continua crescita e le uniche due compagnie che effettuano il servizio in Melbourne non riescono a star dietro alla richiesta; devo prelevare 200 dollari visto che ne ho solo 400 in tasca e poi ci togliamo delle soddisfazioni; nella prossima vita rinasco palo.

domenica 14 febbraio 2010

Tutti a casa


Un egiziano morto accoltellato, rivolta in viale Padova, Salvini suggerisce di andare a prenderli a casa uno per uno, consigliere pdl del Comune pizzicato con tangente, un barbone preso a sprangate nella notte, nevica e la città si spaventa. Grazie a Dio. Avevo paura di tornare a Milano e di non riconoscerla più. Fiuuuuu.

In ogni caso, torniamo a venerdì sera. Così come due anni e mezzo fa il caro Brendan, deejay e radiofonista, ci aveva buttato nella mischia allo storico St. Jeromes facendo così nascere l’esperienza del Riveramazzola Sound System all’insegna del reggae cazzaro europeo, così Brendan, anche a questo giro, ha fatto il bel gesto. Programma radiofonico da condurre su PBS dalle 22 alle 24 e voglia di passare un po’ di quella musica stile St. Jeromes (rip) 2007. Ho buttato sulla chiavetta qualche canzone e mi son presentato in studio. Sono state ore intense, molto. Parlare inglese va bene, ma discutere di musica lirica e background napoletano nelle canzoni degli Almamegretta (sì, perché Brendan è un fan australiano degli Almamegretta..) è altra cosa. E che fatica. Però divertente, molto. Ed è divertente soprattutto pensare che qui queste cose si possano fare. Stiamo parlando di cagate, sia chiaro, ma proprio perché cagate si dovrebbero poter fare. “Vuoi suonare? Suona”, “Vuoi venire a condurre con me e mettere la tua musica? Ti aspetto”, “Hai paura a mettere quel brano? Paura che non suoni bene in radio? Siamo in Australia, mate”. Ecco, un modo di fare così mi tranquillizza, tanto. Perché anche se non sei nessuno, loro ti dicono due paroline giuste per sentirti qualcuno. Non è poca roba, soprattutto per chi ha un’autostima su livelli discutibili.

Ma parliamo anche di questa nuova casa. Da ieri sono qui a North Richmond e la cosa mah. Diciamo mah. Partiamo dal quartiere e diciamo subito che siamo immersi nell’area vietnamita (soprattutto) ed asiatica. Victoria street è un susseguirsi di mercatini, mercati del pesce, fruttivendoli decisamente asian. Ho risentito per la prima volta un miscuglio di odori sentiti finora soltanto nei mercati di Bangkok. E’ stata una bella botta. Non posso dire di essermi sentito a Bangkok ma ho ritrovato alcune cose. Il comportamento di queste persone, malate di lavoro e carretti sui quali trascinare frutti e verdure mai viste; ma anche il loro essere seriosi, ordinati nel loro disordine. Insomma: fascino. Il fascino loro, il fascino di una via viva e dinamica anche la sera, il fascino dell’essere a due passi dall’area più conosciuta di Victoria Parade e Fitzroy Gardens. Tutto bene. Poi ecco, arriviamo alla casa. Se tu, dopo aver percorso chilometri e chilometri nel deserto, ti ritrovassi davanti a una tanica d’acqua sporca, probabilmente la berresti e la troveresti anche tremendamente dissetante. Ecco. Dopo aver girato case, chiamato persone, macinato fermate del 112 e 109 su tutte, ho avuto un’opportunità e l’ho colta senza concentrarmi troppo sull’estetica, mettiamola così. Perché a rivederla ora, da housemate con mazzo di chiavi al seguito, questa casa sì, per certi aspetti fa cagare(in un certo senso non fa cagare. leggi di seguito).

Promossa (non però brillantemente..diciamo con un 6) camera mia. Ma il bagno, signori, il bagno è un’esperienza unica, che fa spavento e che tempra i deboli. Per prima cosa le pareti sono fatte di un misto compensato/cartongesso in là con l’età. Dei buchi sul soffitto sono tappati malamente con dell’alluminio (risultato scarso). Ovunque piastrelle che servono a tappare buchi che farebbero vedere piastrelle che non riescono a tappare buchi. La porta del bagno non è, diciamo, rasente, al pavimento ma lascia uno spazio di 3-4 dita, permettendo ad esterni di vedere il bagnante e rubando al bagnante ogni sua ricerca di intimità. Ecco, un bagno senza intimità, soprattutto se aggiungiamo anche che la finestra dà, senza tenda o altro, esattamente sul giardinetto dove c’è un bel tavolo. L’architetto doveva essere alle prime armi. In sostanza si caga solo se non c’è nessuno in giardino e se non c’è nessuno in salotto. Quindi, paradossalmente, una merda.

Veniamo agli inquilini molto rapidamente. Coppia francese che ringrazio in quanto mi fa sentire madrelingua australiano. Coppia inglese/australiana che non ho ancor avuto il piacere di conoscere. David, giovanotto inglese tranquillo. E ‘tizia’ (non mi ricordo il nome), personaggio bizzarro, vegetariana, salutista, hippie, di professione danzatrice col palo. No, non lap dancer, no. Danzatrice con palo (per info vai qui http://it.wikipedia.org/wiki/Pole_dance). Va bene così dai. Poteva capitarmi un uomo danzatore di palo. Almeno quello lo abbiamo evitato.







martedì 9 febbraio 2010

SuperSaffo











Il caso ha voluto che il mio servizio di oggi fosse un’intervista alla rappresentante di Arcilesbica di Melbourne, un’associazione di italo-australiane che da anni si batte a Melbourne e non solo per il riconoscimento di dignità e diritti spesso negati. Dico il caso, perché ieri, alla manifestazione, nello spettacolare quartiere di St Kilda, c’ero anche io. In realtà di passaggio, in realtà di passeggio. Qualcosa, lì a St Kilda, stava succedendo perché altrimenti non si sarebbe spiegato il capolinea anticipato di un paio di fermate. Sono sceso e mi sono trovato in mezzo all’orgoglio. Lo dico con grande lucidità, ammirazione, commozione. Orgoglio non solo loro, ma di una città che facilmente sa sentirsi parte di una giusta causa. La via era ornata di due ali di folla che con grande ordine accompagnavano il percorso del vialone. Una a destra. Una a sinistra. Due file lunghissime fatte di bambini, giovani, anziani, famiglie, turisti. Terribilmente ordinate, ecco. Terribilmente ordinate per la portata di quel fiume in piena che stava lì in mezzo. E via con la parata, che poi non è una parata. Una marcia. Una marcia perché nella parola ‘marcia’ c’è già secondo me un essenza di orgoglio. Il biscione era composto da diverse associazioni provenienti da diverse parti del mondo. C’erano gli italiani, naturalmente. Erano tantissimi. Poco folklore. E la gente urlava a squarciagola, in maniera quasi pazza. Ma non il biscione. Le due ali. Le famiglie, i giovani, i turisti, i bambini. Una solidarietà diffusa ed una città che si è sentita chiamata in causa. Cioè, la classica ‘sciura maria’, che noi chiameremo sciura Mary, c’era. E applaudiva. La nostra ministra li avrebbe messi in un circo, transennato, con doppio cordone di polizia. Detto questo credo sia ora di andare a letto.

Consigli per gli ascolti

Jamie T – If I were a Boy (Beyonce Cover).

Less than Jake “Look what happened” perche’ il grezzo se e’ bello non e’ grezzo ed e’ semplicemente bello.

The Slackers “And I wonder”.

venerdì 5 febbraio 2010

Con la chitarra in mano?


Se non fosse per il tram, perennemente in orario, gli ultimi due giorni avrebbero regalato molte similitudini con Milano. Il grigio del cielo, il rumore dei copertoni che schiacciano l'acqua sull'asfalto......basta. Non è vero. Similitudini una mazza. Nonostante un gemellaggio di qualche anno fa c'è da lavorare. Per noi.

Ma adesso rimaniamo sul pezzo. Non c'è bisogno di allontanarsi molto dall'ultimo post che definirei delle "criticità umane". Ribaltiamo però protagonisti analizzati e punti di osservazione. Abbiamo parlato del loro modo di non guardarsi, del loro modo di conoscere ma della rarità nell'affezione, quantomeno per ciò che è diverso. Ora guardiamoci noi, qui. Ho la "fortuna" di un visto turistico che mi riporterà a casa; ho la fortuna di aver pianificato questo trimestre, incastrandolo tra countdown socio-economici che mi scandiranno il 2010 e non solo; ho pertanto eliminato l'ansia da ritorno forzato perchè ho in tasca un ritorno voluto. E quindi osservo con serena lucidità le altre persone, italiane e non, venute qui a cercar fortuna o riparo.


Un paese, l'Australia, che ora inizia a fare i conti con un'invasione asiatica fortissima verso cui il governo lascia trasparire qualche preoccupazione. Un paese, l'Australia, che deve iniziare a tagliare gli ingressi e lo fa dai visti 'skilled' e di sponsorizzazione, sostanzialmente i più professionalizzanti. Un paese, l'Australia, che non taglierà mai, per ora, gli student visa semplicemente perchè gli student visa garantiscono introiti che noi umani non possiamo nemmeno immaginare. Dopo il carbone, l'education è la seconda fonte di ricchezza della nazione. Pazzesco. Studia e lavora con il tuo part time: l'importante è che la tua prima rata del corso finisca nelle nostre tasche, subito. Un paese, l'Italia, che sforna insoddisfatti e vittime. Talvolta talenti coraggiosi che restano e raggiungono traguardi (talenti alla enne). Talvolta talenti intelligenti che riescono a cogliere opportunità estere. Ma, sostanzialmente, ha creato persone allo sbando, ed è quello che ho potuto vedere qui. Trentacinquenni che hanno mollato tutto portandosi dietro la compagna, chiudendo la propria attività e tornando studenti solo per 'stare' qui, lontano. Giovani freschi di master che ora, terminato il corso per acconciatori o panettieri qui, inseguono un sogno che sembra tardare ad arrivare. Lavoratori in nero cronici, falsificatori di firme e permessi per regalare a qualcuno 3 mesi di paradiso in più. Il paradiso non sembra esserci. E questa non è una terra promessa così abbordabile. Per la prima volta, dopo due anni di conoscenze italo-australiane, ho sentito italiani stufi che meditano un ritorno. Ho paura per loro, alle porte di un limbo pericoloso. Un paese, l'Italia, che noi amiamo ma che ci tolgono. E io voglio tornare un po' per giocare a riprendermelo e un po' per abbracciare gli amici italiani veri..tipo voi dai, ci siamo capiti. Ma qui ci saranno sempre più potenziali vittime, destinate forse ad aumentare perchè persone non formate dall'Italia, preparate alla fuga, alla distruzione e poco alla costruzione. E' lo scappare nudo e crudo che mi risulta difficile da capire. Va bene la storia del viaggio che basta e che si riflette in un viaggio interiore. Per piacere. per piacere. Ci vuole la crescita ma anche la costruzione.


Chiudo con ottimismo. In mezzo a tanti italiani allo sbando (tutto il discorso fatto si annulla per universitari e neolaureati.Anzi..universitari o neolaureati dovrebbero fare un'esperienza qui) ho trovato persone con grande pragmatismo e strumenti per costruire. Semplicemente, persone che sanno chi sono.


Richiudo con un episodio sgradevolissimo accaduto due sere fa qui nell'ostello Urban Central di Melbourne in City Road. Durante la classica musica diffusa presso il bar, il cantante che prima ci aveva abbondantemente spaccato i maroni con il suo cantautorato di cover ed accendini in aria ha compiuto il gesto che da sempre ritengo il più maleducato e basso. JB, così dovrebbe chiamarsi la bestia, ha mimato un assolo di chitarra su un assolo di chitarra. E' un vorrei ma non posso. E' un gesto privo di classe, privo di stile, pieno di protagonismo. Io se vedo una moto per strada non mi metto a mimare un'impennata. Io se guardo "LA PROVA DEL CUOCO" non mi metto a far finta di cucinare. Dicono che faccia eccezione il porno.


Consigli per gli ascolti:

-Kate Nash “Foundations”. Per tornare indietro di due anni e mezzo e credersi ancora in un’eta’ gradevolissima.

-Se dovesse esserci una di quelle giornate da cielo blu a Milano, una di quelle da bicicletta e da freddo che piace: The Slackers “What went wrong”

-Se siete soli come dei cani e avete paura che domani sia peggio, fuori e’ buio e vi state appoggiando al vetro gelido della finestra per rendervi conto di quanto stia diluviando, sfruttando un lampione che illumina le gocce: Fred Freddy’s Drop con “Hope”. Forse domani sara’ veramente peggio ma durante la canzone penserete che altri, soli come voi, ci sono eccome. Appoggiati alla rispettiva finestra gelida.


martedì 2 febbraio 2010

La piazza


Se volessimo farci due risate nell’analizzare questa città ed alcune sue criticità, potremmo soffermarci sui gusti discutibili relativi ai tatuaggi (tanti, nella maggior parte esteticamente brutti, in parti del corpo eccessivamente esposte), sui negozi dedicati a ciambelle (buone sì, ma farci un business monotematico mi fa ridere), sulle scarse abilità nel ballo, oppure sull’abbigliamento femminile (è come se i manichini di American Apparel avessero preso vita, buttandosi nelle strade, nelle piazze. Colori, forme, combinazione capi). Possiamo però anche concederci un post di più ampio respiro, leggermente più profondo. Forse dobbiamo.

Le piazze, dicevamo. Per noi luoghi in cui stare, per loro posti da attraversare. Forse sta in questa semplice immagine la differenza colossale tra noi e loro, tra i latini e gli anglosassoni (buona parte). Ce l’hanno sempre invidiata, loro, la Piazza. Quella con la maiuscola. Quella che abbiamo sempre sperimentato da piccoli. Abbiamo i bambini che giocano col pallone, abbiamo madri che comprano un gelato ai figli, abbiamo a volte qualcuno che impenna in motorino ma pazienza. Insomma..sì, luoghi e non ‘non luoghi’ come direbbe qualcuno più qualificato. Noi lì ci fermiamo, noi lì ci incontriamo, noi la piazza la viviamo o comunque l’abbiamo vissuta. A questo si aggiunga la nostra storia, la nostra evoluzione, il nostro ‘essere’ residenti’ più che viaggiatori che, per carità, può non essere invidiabile ma ci ha messo in mano delle carte da giocare, socialmente parlando. E poi il cristianesimo c’entra, e poi una morale cattolica che forse in questo caso ha detto la sua positivamente. Un’idea di comunione che fa parte di noi. E poi sono sempre stato un fan dell’oratorio, a patto di uscirne senza se e senza ma al termine dell’adolescenza. Tutto ciò ci ha regalato un grande cuore. Davvero. Li ho guardati molto, questi signori qui, a Melbourne. E intanto buttavo un’occhiata su di noi. In mezzo al calderone in cui viviamo, fitto di politica, paura, ignoranza e puzza di medioevo, ci resta questo. E te ne accorgi quando sei qui, quando inizi a fare dei paragoni per capire quanto sei indietro rispetto al mondo, a questo mondo. Siamo indietro, sì, ma questo modo italiano/latino di vivere la socialità è eccezionale. Facciamo paragoni sì, noi italiani. Paragoni che loro non fanno, stando in un paese più sereno, e pertanto problemi che loro non si pongono. E così non acquisiscono quel tassello fondamentale del mosaico della vivibilità perfetta di un paese. Noi mettiamo il naso fuori dal confine e ci sentiamo fragili, abbiamo bisogno di capire, ci sentiamo spesso delle merde. Ma se troviamo una piazza tiriamo un bel sospirone e ci guardiamo attorno, perché uno come noi lì in mezzo, lo troviamo sicuro. Qui corrono e le strade del centro sono affollate di formiche. Qui la qualità della vita è migliore, regna la cordialità e soprattutto regna la conoscenza. Ci si conosce, ci si mette un attimo a conoscersi. Ma da lì a essere amici mmmmmm. …bip. Corto circuito per loro. Ne conoscerete un’infinità di australiani o inglesi girando per vari paesi e chissà quante birre berrete assieme a loro. Sta di fatto che quando sarà il momento di un bbq o di una festicciola l’sms, chissà perché, vi arriverà da un argentino, uno spagnolo, forse un francese. Oppure vi va di culo e un aussie vi inviterà al suo bbq (qui sono fissati, troppo, con sto cazzo di bbq. Come se fosse ostentazione dell’essere uomini di mondo) ma poi vi ritroverete abbracciati a argentini, spagnoli, forse dei francesci. Stiamo estremizzando, certo. Stiamo parlando dopo l’analisi di campioni e dopo riflessioni condivise con amici qui e lì.

In Federation Sq, il cuore della città, un gigante maxischermo è sintonizzato su Channel 7. Chi si siede nella piazza apre il suo zaino, prende il suo lunch pack e si mette a guardare la televisione. Al suo fianco ha altre persone ma gli sguardi non si incrociano mai, catalizzati da quell’ammasso di pixels sul lato sud. Noi non lo faremmo. Dove voglio arrivare? Da nessuna parte, credo. Penso solo che il paese perfetto non esista, perché altrimenti qui , in Federation Sq, si guarderebbero negli occhi. Quanto a noi, siamo anni luce lontani dalla perfezione ma anche dalla decenza. Grazie a Dio, cari capoccia, bestie, ignoranti e pidocchi d’Italia, portarci via questa umanità sarà per voi difficilissimo.