venerdì 26 febbraio 2010


NZ. Si parte cari miei. Peccato saltare Wellington, la città musicalmente più esplosiva della nazione visto anche chi ha sfornato negli ultimi anni. Arriverò a Christchurch, Southern island. Preso il biglietto, non ho fatto altro che mettere un bell’annuncio su Gumtree per cercare travel mates disponibili a noleggiare una macchina, dividere le spese e le viste mozzafiato che si prospettano. Antoine mi ha risposto. Francese e sembra ok. Dico che sembra perché con i francesi sapete bene…è una lotteria…un po’ come quella dei rigori che non possono più rinfacciarci da quasi ormai tre anni. Da un bel po’ in Australia con working holiday visa a costruire barche. Divideremo spese e tutto fino al 5 quando lo lascerò a Dunedin dove si prenderà l’aereo per Auckland, prima di svaccarsi a Thaiti. Il tempo è poco e le sue pressioni sul saltare i due ghiacciai sono forti. Preferisce i fiordi a sud ovest, il signorino. We’ll see, gli ho detto io. Mal che vada avrò tempo di farmeli in solitaria o con qualche altra persona dal 5 al 9, giorno del ritorno. Perché andare in Nuova Zelanda, non vedere i ghiacciai e buttarsi sui fiordi mi sembra un po’ come andare in America, non mangiarsi un hamburger ed ordinare dei canederli.

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Qui capita spesso che mi mettano sul tavolo quello che io non ho chiesto, come cortesia, non sapendo che su certe cose devo essere io a scegliere quale drogato che sono.

A volte ti va bene ed è quella giusta. Ne basta poca e inizi a digrignare i denti, con le mascelle che pian piano si serrano. Frigge il naso, gratta leggermente la gola, la senti sui denti e poi bam...è una botta fredda che pero' scalda il cuore. E col cazzo che fa male, ragazzi. Sono ancora vivo e vegeto dopo anni e anni.
Altre volte ti va male e te ne accorgi subito. Va bene non serrare le mascelle e va bene che sui denti la senti..però è scarsa, debole. Scalda il cuore ma la botta fredda dura poco, dura meno. Credo sia una questione di composizione, di cosa ci mettono dentro e di cosa ci tolgono nonostante sia una sostanza naturale. Tutto questo era per spiegarvi la differenza sostanziale tra Coca Cola normale e Coca Cola Zero che a volte qualche ingenuo mi vuole offrire al bar. E ora veniamo a noi. A loro, ancora una volta.

Sono un popolo di sportivi, non c’è che dire. Individualisti sì. Ma sportivi. E proprio questo individualismo avvalora la tesi che siano proprio sportivi serissimi. Parlo di corsa, bicicletta, esercizi vari che sfruttino la bellezza dei parchi. Quelle cose che, insomma, prevedono una persona a lavorare sui propri limiti e a pensare alla fatica sul suo singolo corpo. No gioco di squadra. Uomo vs fatica. E allora lì esce la serietà. Perché a Milano la sbarbatella che deve buttare fuori l’alcol del giorno prima va a correre con l’amica e se l’amica non viene zero. Sai che fatica da sola. E questo non ha senso, un po’ come l’andare in bagno in coppia tenendosi la mano che ha accompagnato la nostra vita liceale. E se piove a Milano non ci vai. E se sei stanco non ci vai e soprattutto la mattina presto non ci andrai mai. Qui li vedo fare jogging alle sei del mattino e alle 2 quando il sole ti squaglia le spalle. In coppia a volte sì..ma non perché si è pianificato. Spesso soli, I-pod a palla e via…lungo lo Yarra o a sud in direzione Albert Park. Insomma, ennesima metafora oz? Può essere. Se lo faccio è perché lo voglio e perché oggi voglio conoscermi un po’ di più spostando quello che fino a ieri sembrava essere il limite. Non perché c’è uno a farlo con me. Da noi c’è questo maleducatissimo rituale del far vedere che qualcosa si fa perché bisogna fare vedere, bisogna spiegare agli altri che “guarda che ci sono anche io e mi diverto e sono interessante come persona”. Aldilà della qualità ed aldilà del tipo di azione. Il contesto fisico in cui si racconta un’azione vince tremendamente sia sull’esperienza avuta che, ahimè, sul racconto della stessa. Come se si andasse a fare l’aperitivo non perché si ha fame, si vuole spendere poco, si vuole stare in una situazione gradevole fuori dalle proprie mura domestiche, ma perché il giorno successivo o la sera tarda si possa dire “io c’ero”. Senza alcuna considerazione per il “di che cosa si è parlato” e per il modo in cui si possa spiegare ciò che si è vissuto. E allora si raccontano i contesti in cui viviamo e non raccontiamo più noi.

Consigli per gli ascolti:

-Se siete toghe rosse The Dead 60s con “Riot Radio”

-4 Non Blondes “Spaceman”. Che non ascoltavo dal ’93, solo perche’ son scemo.

-The Cure “Just Like heaven” perche’ vale come un abbraccio lungo 3 minuti.
-Da ascoltare per strada, sentendovi attori fighissimi di un film che si svolge per le strade della vostra citta', Sola Rosa con il remix di "Collie Herb Man" dei Katchafire.
-Per avere ancora piu' freddo (voi) direi Subsonica con 'Coriandoli a Natale'.
-Se tipo vi troverete sulle strade verdi della Nuova Zelanda a guidare in mezzo ad un bel vento profumato di sole The Black Seeds con "So true".

1 commento:

  1. e allora è proprio così, Luca, da queste parti conta quello che racconti e non quello che fai. Come se, allora, certe cose non le facessi per paura (poi) di doverle raccontare.

    Invece è importante quello che vivi, e proprio per quello saprai raccontarlo nel migliore dei modi...ma uscire per dire "io c'ero" è forse ancora peggio di fare capodanno per non dire "sono rimasto a casa"...

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