martedì 16 marzo 2010

Guerra incivile

Ognuno ha i suoi problemi di integrazione, certo, ed ognuno ha i suoi problemi di tolleranza. Palese. Non possiamo dimenticarci del popolo aborigeno a cui il primo ministro laburista Rudd ha chiesto scusa un secondo dopo il suo insediamento di fine 2007 per la cruda mancanza di rispetto e per la cancellazione di una storia infinita che, anche grazie ai 12 anni di governo liberale, è stata messa in soffitta come roba vecchia di alcun valore. Gli aborigeni li vedete ubriachi alle fermate del tram, negli spazi aggregativi a loro dedicati che puzzano di ghetto molto più di quanto loro puzzino di alcol.

Difficile ora invertire la tendenza, difficile lavarsi la coscienza pensando che delle riserve circo nel deserto possano bastare. La questione indiana è delicata, l'ondata non si ferma, la professionalizzazione si schiaccia verso il basso. Crescono gli episodi di razzismo e gli indiani sono l'obiettivo primario di violenza. Morti, pestaggi, minacce ripetute, incrementate notevolmente dalla metà dello scorso anno. Un 2009 che registra oltre 1400 indiani vittime di violenza. L'ultimo episodio finito sulle pagine di cronaca risale al 27 dicembre quando Nitin Garg, studente indiano di 21, muore accoltellato nella periferia ovest di Melbourne. Ammazzato là dove, un tempo, il ghetto era quello italiano, oggi lasciato ad asiatici ed africani.

Cresce nei quartieri poveri, il razzismo, sostanzialmente la paura che qualcuno ti possa rubare lavoro, casa, opportunità e futuro dei tuoi figli. Qui sta il primo punto della questione australiana: un mercato del lavoro decisamente più florido del nostro in cui le posizioni cosiddette 'basse' sono occupate (e non vacanti) da indiani che non lasciano briciole agli australiani 'bassi'. E' lì che scatta il cortocircuito della macchina cittadinanza+lavoro+sopravvivenza. Gli australiani possono trovare alcune posizioni medio-basse coperte. Ragazze australiane che non vedono l'ora di sposare il proprio fidanzato inglese e vivere in questa nazione passano le pene dell'inferno per avere l'ok di un governo che ai loro occhi apre le frontiere indistintamente ai giovani pakistani. Corto circuito. Non troppe domande, non troppe riflessioni. Semplicemente corto circuito e sensazione di scippo. Che in certe occasioni sembra esserci. Il motivo sta forse anche nella definizione. Si chiama "mercato del lavoro" e non "isola felice in cui ognuno sceglie il proprio lavoro" o nemmeno "mercato per gli australiani ariani purosangue (che tralaltro non esistono storicamente)".

Dovrei avercela a morte con l'Australia, visti i miei visti. Ma non e' il caso. Il governo ha delle regole, pasticcione e mutevoli questo e' vero, ma le ha. E le inquadra in un modello che premia lo straniero in un lungo periodo, in seguito ad un suo costante contributo. Il governo ha ultimamente aumentato controlli perchè se da un lato può essere accusato di fare business su certi tipi di visto ed aumentare la concorrenza per gli stessi australiani, dall'altro si e' indispettito dei raggiri o degli utilizzi impropri di visto. E' un problema, eccome. E' un problema dell'australiano che però cercando bene troverà. E' un problema dell'inglese che qui ha trovato l'amore e che non si da' pace ma che alla fine ce la faraà perchè ha tutte le carte in regola. E' un problema per l'indiano che se si affiderà al raggiro neppure resterà per troppo tempo. Rileggo bene. Non vorrei che ciò che ho scritto potesse essere intriso di razzismo o di demagocici richiami alla legalità che tanto sentiamo ronzare nelle nostre orecchie italiche. Riletto. No, non lo è. Perchè i diritti e doveri devono esistere. Per chiunque. Ma uno stato deve essere lucido. E umano. E da noi si parla di legalità che, moltiplicata per paura, sbiadisce i diritti e lascia doveri. Anzi, i doveri diventano divieti e sospetti.

Non ci si appelli all'incremento di violenza: ieri il The Age ha pubblicato numeri agghiaccianti sulla violenze nello stato del Victoria, superiori a tutti gli altri stati della federazione, superiori alle più grandi e problematiche città americane, superiori a moltissime città europee. "Eh allora vedi? Che se ce ne son tanti è un casino?" diranno alcuni. Particolare da non tralasciare: qui il giornale non parla di violenza ed immigrati. Parla di violenza e poi usa un altro articolo per parlare degli immigrati. Nessun effetto domino e nessun uso di un problema per andare giustificarsi su un altro. E a vedere le cifre, forse se lo potrebbero permettere più di noi. Bella, la legalità. Legalità, sicurezza, rispetto della cultura che si degna di accoglierti. Si 'degna', si dice. Giusto per mettere a proprio agio l'ospite. Che da noi solitamente non ruba lavoro ma e' semplicemente un cazzo di terrorista, dicono. Spesso è un negro, dicono. Che non capisco cosa voglia dire bene bene.

Dico questo ripensando al binomio diritti e doveri, e ripensando a sabato quando in Federation Square la piazza ha visto una lunga notte dedicata alle star di Bollywood ed alla consegna di awards per compagnie di danza indiane, con un pubblico nutrito e soprattutto misto. E ripenso alla manifestazione islamica di tre settimane fa, sempre qui, in quella che e' la piazza principale e chissenefrega se è a 50 metri dalla Cattedrale.

Penso poi alla tolleranza..ed al fatto che qui alla parola 'gay' non ci fai caso. Da noi salta subito all'occhio: in tv, su un foglio, in una foto. E' come se fosse scritta sempre in grassetto anche se non lo è. E penso a quelle coppie gay felici che non si tengono la mano non solo quando la strada e' buia e pensano di esser da soli ma anche nella via principale quando c'e' un sole che spacca le pietre. E penso alla Cassazione che ha detto, fiera fierissima, che dare del gay è reato. E nonostante le buone intenzioni questo non fa altro che lasciare la parola ‘gay’ in grassetto. Distinguere. Distinguere una parola da chi ne fa un uso becero a causa della sua inferiorità morale e culturale, per Dio. Penso anche alla mia radio: una radio multiculturale che trasmette in nazionale in 68 lingue per le comunità immigrate. Davanti a me i vietnamiti, girato l'angolo gli arabi spalla a spalla con gli indiani, gli armeni, i giapponesi, i russi, i mandarini, gli africani, i bulgari, i macedoni, i maltesi, gli albanesi, i serbi, i croati, i macedoni, i turchi, i nepalesi e ne mancan molti per arrivare a 68. Ve la immaginate da noi? Chiudete gli occhi, limitate le lingue a 5/6. Vi immaginate come la parola legalità si abbatterebbe su un progetto del genere, invocando crociate, invasioni, oscuramento della storia? Le stesse nostre persone direbbero le solite cose. Difendere vs evolvere? Mettere l'Italia sotto spirito vs rimettere l'Italia nel mondo? Vergognarsi vs andare fieri di qualcosa. Che qualcuno ci conquisti insegnandoci il mondo. Gli idioti non hanno compreso che il mondo e' permeabile in ogni suo poro, e che ogni stato civile accoglie e rilascia. Idee e persone. Non saremo noi, piccolo stivale, a fermare la tendenza. Non sarà la rabbia per l’incapacità di risolvere problemi a polverizzarne altri dietro cui si celano potenzialità. La storia 'italiani brava gente. Italiani grande cuore' mi fa svenire il voltastomaco.

Chiudo citando una riflessione di un mio grande amico e ottimo giornalista che “nota una certa somiglianza tra l'Italia calcistica e l'Italia governativa. In casa nostra possiamo permetterci di fare ciò che ci pare, tanto nessuno controlla. Appena usciamo dai confini (aspettando l'Inter che però è piena di non italiani) rimediamo figuracce. Eppure diciamo: ma qualcuno in Europa sta peggio di noi".

Pensa te, sembra che l’Inter abbia più possibilità di un governo. Ed è tutto dire.

Chiedo scusa per i toni. Prometto, visto il periodo di par condicio, di dedicare il prossimo post a figa e/o calcio e/o goliardia indistinta.

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